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Nel post-pandemia i redditi al Sud sono cresciuti

Data pubblicazione: 15 luglio 2025

Autore:

TrueNumbers.it per Fineco Bank
Rappresentazione visiva dell'articolo: Nel post-pandemia i redditi al Sud sono cresciuti
  1. In 19 province sono cresciuti molto più della media e 17 di queste sono nel Mezzogiorno
  2. La ricchezza aumenta dove le imprese producono più valore, come è successo a Caltanissetta
  3. Ma se si considera il calo demografico le cose cambiano un po’…


REDDITI IN CRESCITA AL SUD, SCENDE IL DIVARIO CON IL NORD

Il buon andamento dell'occupazione migliora la condizione economica delle aree più svantaggiate


L'aumento del reddito disponibile pro capite rispetto al 2019

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Andamento dell'occupazione

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Fonte: Istituto Tagliacarne e Istat


Sappiamo dell’enorme disuguaglianza in Italia tra le aree più ricche e quelle più povere. Ora: non per essere ottimisti per forza, ma bisogna ammettere che i principali indicatori economici segnalano una riduzione di questo divario. Lo dicono le statistiche provinciali di Istituto Tagliacarne e Istat. Vediamo i numeri.


A Enna e Isernia il maggiore incremento del reddito disponibile


Tra il 2019 e il 2023 le risorse a disposizione delle famiglie italiane, escluse le tasse aggiunti i sussidi, sono cresciute mediamente del 16,1%, un incremento sostanzialmente in linea con quello dei prezzi. Tuttavia in 19 province l’aumento è stato superiore al 20% e 17 di queste sono meridionali, come Enna, dove il reddito disponibile pro capite è salito del 26,5%, e Isernia, +26,3%. Ad avere visto i dati migliori sono state soprattutto le aree più interne, spesso meno densamente popolate e solitamente economicamente marginali, come la provincia di Caltanissetta, +24%, di Crotone, +22,8%, del Sud Sardegna e di Benevento, con incrementi rispettivamente del 21,8% e del 21,3%.


Al contrario, in alcune aree del Centro-Nord con redditi maggiori della media il miglioramento in quei 4 anni è stato molto limitato, inferiore al dato nazionale oltre che all’inflazione: la provincia di Prato ha visto una crescita del reddito disponibile pro capite solo del 6,5%, quella di Gorizia del 7,1%, mentre quella di Firenze del 9,2%. Ma peggio della media è andata anche alle grandi Città metropolitane, come Bologna, +11,8% e Roma, +13,3%, non, però, a Milano, che ha visto un incremento del 18,7%.


Al primo posto, quanto a risorse delle famiglie, è sempre Milano con 34.885 euro pro capite, seguita da Bolzano e poi da Monza e Brianza, che supera al terzo posto Bologna, con più di 28mila euro, mentre nelle prime 10 posizioni Firenze scivola dalla sesta all’ottava.


Un cambiamento più importante lo osserviamo anche se confrontiamo il reddito disponibile medio proprio delle dieci province più ricche con quello delle dieci più povere. Nel 2019 quello delle prime era di 24.745 euro, ovvero il 97,1% in più, quasi il doppio, dei 12.551 euro delle meno abbienti, mentre nel 2023 le 10 province più ricche sono arrivate a un reddito medio di 28.303 euro, l’86,1% maggiore di quello di 15.205 delle 10 province più povere. Il divario è rimasto, ma si è ridotto, proprio perché le aree più svantaggiate sono cresciute di più.


Nel Mezzogiorno (e a Milano) redditi trainati dalla crescita del valore aggiunto


Uno dei motivi è che è aumentato più della media il valore aggiunto, sempre pro capite, proprio di gran parte di quelle province nelle quali i redditi sono saliti maggiormente. Le aziende qui hanno prodotto più valore, cioè si sono riprese meglio dall’emergenza pandemica.


Per esempio: a Caltanissetta tra 2019 e 2023 il valore aggiunto è cresciuto di ben il 35,7%, con un ruolo fondamentale del polo petrolchimico di Gela, che ha aumentato il valore delle esportazioni grazie all’energia diventata più costosa. Idem a Lecce dove il valore aggiunto pro capite è salito del 27,8% tra 2019 e 2023, a fronte di una crescita media nazionale del 20,4%, o in quella di Caserta, +25,8%, di Campobasso, +26,7% e di Agrigento, +23,8%. Naturalmente ci sono anche città del Nord che hanno superato la media come (ovviamente) Milano dove il valore aggiunto è cresciuto del 24,9%: nettamente superiore al dato italiano.


Il ruolo dell’occupazione, più lavoratori, più redditi


C’entra anche l’andamento dell’occupazione tra 2019 e 2023 è cresciuto di più nelle province meridionali che hanno visto i migliori incrementi dei redditi. A Benevento, Lecce ed Enna, infatti, le entrate delle famiglie sono aumentate di più del 20% (quindi più della media italiana, +16,1%) e hanno segnato i maggiori miglioramenti del dato dell’occupazione che è salito rispettivamente dell’8,6%, dell’8,3% e del 7,4% (media italiana: +2,1%). La crescita della quota di lavoratori tra la popolazione è alla base dell’aumento superiore della media dei redditi anche in altre province, come in quelle di Oristano e Potenza, dove il tasso di occupazione è salito del 5,5% e del 5,2%, o in quella di Crotone, +4,8%.


Sono dati molto positivi per vari motivi, anche perché questo forte miglioramento è avvenuto dove la situazione iniziale era peggiore. Se nel 2019 tra il tasso di occupazione della Città Metropolitana di Milano, 70,7% e quello medio del Mezzogiorno, 44,8%, c’era un divario del 25,9%, nel 2023 quest’ultimo è sceso al 23% (71,2% contro 48,2%) e nel 2024 è diminuito ancora, al 22,4%.


I progressi maggiori, tra l’altro, sono stati quelli del mercato del lavoro giovanile: il tasso di occupazione dei 25-34enni tra 2019 e 2023 è aumentato di più del 10% nelle province di Crotone, di Messina, di Trapani e di Enna, rispetto ad un aumento medio italiano del 5,4%.


Nel Mezzogiorno, però, pesa il calo demografico


A proposito di giovani, però, non possiamo dimenticare che dietro i dati molto positivi su redditi e occupazione si nascondono concause che sempre positive non sono e una di queste riguarda il calo demografico che colpisce particolarmente il Sud. Per esempio in provincia di Enna l’aumento complessivo dei redditi del 21%, diventa del 26,5% se guardiamo al dato pro capite, perché nel frattempo c’è stato un calo della popolazione.


A essersene andati sono spesso giovani che non hanno un lavoro, ed è anche per questo che il tasso di occupazione (quota di occupati sulla popolazione di una certa età) sale così tanto: perché diminuisce la base di popolazione su cui si misura. Un esempio: in Calabria il tasso di occupazione tra i 25 e i 34 anni è cresciuto bene tra il 2019 e il 2023, dal 41,9% al 48,4%, ma se guardiamo ai numeri assoluti i lavoratori di quell’età sono aumentati semplicemente da 98mila a 99mila. Ancora troppo poco.


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